Circolare 31 marzo 2000, n.165

Linee guida relative al principio della dichiarazione della quantità degli ingredienti (art. 8 del decreto legislativo n. 109/1992) nonché ulteriori informazioni per la corretta applicazione delle disposizioni riguardanti l'etichettatura dei prodotti alimentari.

G.U. del 19 aprile 2000 - Vedere la Circolare 166/2001 e 167/2001

1. La presente circolare è stata redatta allo scopo di fornire i necessari orientamenti per l'applicazione dell'art. 8 del decreto legislativo n. 109/1992, come sostituito dal decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 68, nonché della direttiva n. 1999/10/CE*, in corso di recepimento, relativi alla dichiarazione della quantità degli ingredienti - in seguito detta QUID - che figurano nella denominazione di vendita o sono posti in rilievo nell'etichettatura.
Si richiama al riguardo l'attenzione circa l'obbligo suddetto, che riguarda solo gli ingredienti e non i componenti naturalmente presenti nei prodotti alimentari. Pertanto il QUID non si applica, ad esempio, alla caffeina, alle vitamine e ai sali minerali contenuti rispettivamente nel caffè o nei succhi e nettari di frutta.

*Recepita con il D.Lgs. 259/2000

2. Sono esentati dall'obbligo del QUID:

a) gli edulcoranti e lo zucchero alle condizioni previste all'allegato II, parte II, del decreto n. 109/1992 e successive modificazioni;

b) le vitamine e i sali minerali oggetto di etichettatura nutrizionale ai sensi del decreto legislativo n. 77/1993 ovvero di tabella nutrizionale ai sensi del decreto legislativo n. 111/1992;

c) i prodotti alimentari ai quali non ancora si applica la direttiva n. 79/112, quali i prodotti di cacao e di cioccolato disciplinati dalla legge 30 aprile 1976, n. 351;

d) i prodotti alimentari di cui agli articoli 16 e 17 del decreto legislativo n. 109/1992.

A tal fine si richiama l'attenzione degli organi di controllo, per quanto riguarda i prodotti provenienti da altri Stati membri o da Paesi non appartenenti all'Unione europea, che le norme di etichettatura previste dalla direttiva n. 79/112/CEE e successive modifiche ed integrazioni riguardano solo i prodotti destinati alla vendita al consumatore (consumatore finale e collettività). Occorre, però, tener conto di quanto previsto agli articoli 14, commi quinto, sesto e settimo, e 17, in quanto la relativa conformità, ai fini dell'informazione dei consumatori, va garantita al momento della loro immissione nel circuito distributivo per la vendita al consumatore stesso.

3. L'indicazione del QUID è obbligatoria nei seguenti casi:

A) qualora l'ingrediente di cui si tratta figuri nella denominazione di vendita (es.: pasta all'uovo, yogurt alle fragole, panettone al cioccolato, cotoletta di merluzzo);

B) qualora la categoria di ingredienti di cui si tratta figuri nella denominazione di vendita (es.: Bastoncini di pesce impanati, torta alla frutta, zuppa di pesce).

Per "categoria di ingredienti" si intende la designazione generica, il cui uso è consentito ai sensi dell'allegato 1 del decreto n.109/1992, nonché ogni analogo termine generico che, anche se non figura in tale allegato, è generalmente utilizzato per designare un prodotto alimentare (es.: proteine vegetali, verdure, legumi, frutta, cereali, pesce, molluschi, crostacei, frutti di bosco).
Se la denominazione di vendita identifica un prodotto composto, senza porre in evidenza alcun ingrediente (es.: torrone) non è richiesta alcuna indicazione percentuale di ingredienti, mentre nel caso del torrone alle mandorle o alle nocciole è richiesta l'indicazione della percentuale di mandorle o di nocciole.
Quando nella denominazione di vendita figura un ingrediente composto (es.: la crema nel biscotto alla crema) deve essere indicata la percentuale di tale ingrediente (crema x%). La menzione della farcitura o del ripieno, senza ulteriori specificazioni, tuttavia, non comporta l'obbligo del QUID (es.: biscotto farcito, olive farcite, pasta fresca con ripieno) in quanto nessun ingrediente viene specificato.
Qualora, poi, sia indicato anche un ingrediente dell'ingrediente composto, di esso va indicata altresì la percentuale (es.: wafer con crema alle nocciole: crema alle nocciole x% - nocciole x%).
In tal caso, la percentuale delle nocciole può essere calcolata con riferimento all'ingrediente composto.
Si rilevano sul mercato prodotti alimentari che sono commercializzati con denominazioni di vendita che non fanno riferimento ad alcun ingrediente particolare, quale il "surimi", che è un prodotto della pesca ottenuto generalmente da merluzzo di Alaska ma anche da altre specie di pesce. Questo prodotto viene generalmente utilizzato quale ingrediente di preparazioni alimentari.
 
Per la corretta applicazione del QUID occorre riferirsi ai seguenti principi:

1) la denominazione "surimi", anche se con riferimento ad una specie di pesce, non comporta l'obbligo di indicazioni percentuali trattandosi di prodotto destinato a lavorazione industriale e costituito essenzialmente da quel pesce;

2) l'impiego del surimi nella produzione di preparazioni alimentari a base di surimi comporta l'obbligo dell'indicazione percentuale del surimi e, se viene evidenziata la specie ittica, va indicata la percentuale anche di questa.

Si ritiene altresì utile evidenziare che la messa in evidenza di un ingrediente composto nella denominazione di vendita di un prodotto finito non comporta necessariamente l'obbligo della sua designazione con lo stesso nome nell'elenco degli ingredienti. Esempio: la crema alle nocciole, di cui all'esempio precedente, può figurare, nell'elenco degli ingredienti dei "wafers con crema di nocciole", sia con il suo nome - crema di nocciole - sia mediante l'elencazione dei singoli ingredienti che la compongono.
Altro esempio: biscotto al cioccolato fondente. Nell'elenco degli ingredienti il cioccolato può figurare sia con la parola "cioccolato fondente" sia mediante l'elencazione dei suoi ingredienti.
Giova tuttavia ricordare che l'ingrediente composto, quando risulta utilizzato in quantità superiore al 25%, deve essere menzionato sempre mediante la elencazione dei suoi componenti. Nel caso di una torta a base di confettura di albicocche (30%), nell'elenco degli ingredienti della torta, dopo la menzione della "confettura di albicocche" bisogna indicare tutti gli ingredienti della confettura (zucchero, albicocche, ecc.) e con la menzione del 30%, a meno che detta percentuale non figuri nella denominazione di vendita accanto alla dicitura "confettura di albicocche". In quest'ultimo caso nell'elenco degli ingredienti della torta può essere omessa l'indicazione "confettura di albicocche" e gli ingredienti di quest'ultima diventano ingredienti della torta da menzionare in ordine ponderale decrescente;

C) qualora l'ingrediente sia generalmente associate dal consumatore alla denominazione di vendita.

Questa fattispecie trova raramente applicazione, in quanto è residuale rispetto alle altre previsioni. Pertanto non deve condurre automaticamente ad associare ad ogni denominazione di vendita un ingrediente specifico con la conseguenza di renderlo sempre obbligatorio.
Si riferisce, infatti, a quei prodotti che sono presentati al consumatore con nomi consacrati dall'uso, non accompagnati da denominazioni descrittive. In tal senso, un criterio che consenta di determinare gli ingredienti che possono essere abitualmente associati a detti prodotti è il riferimento agli ingredienti principali, di particolare valore per la composizione del prodotto e che il consumatore si aspetta comunque di trovare nel prodotto, a condizione però che non rientrino in una delle esenzioni previste.
Due esempi di chiarimento. I biscotti savoiardi sono particolarmente caratterizzati dalla presenza di uova, che il consumatore è portato ad associare alla denominazione del biscotto, anche se le uova non sono poste in rilievo nell'etichettatura, ma indicate solo nell'elenco degli ingredienti. In tal caso va indicata la percentuale di uova utilizzate.
Lo strudel è un prodotto dolciario nel quale il consumatore si aspetta la presenza di frutta (mela o altro frutto). Se il frutto è posto in evidenza direttamente dal produttore nell'etichettatura "strudel di mele", non v'è dubbio che ricorrono le condizioni per la sua indicazione. Ma anche in mancanza di specifico riferimento l'indicazione della quantità di frutta va menzionata.
Lo stesso vale per le carni in scatola; qualunque sia la denominazione di vendita utilizzata, il consumatore associa al prodotto la presenza di carne, di cui occorrerà fornire la quantità.
L'obbligo invece non sussiste nel caso di prodotti fabbricati essenzialmente o totalmente a partire da un solo ingrediente (es: prodotti di salumeria, polenta, gorgonzola) o da una sola categoria di ingredienti (es.: latticini). Per questi prodotti, se composti anche da altri ingredienti (formaggio alle noci, gorgonzola al mascarpone) l'obbligo dell'indicazione del QUID riguarderà esclusivamente l'ingrediente diverso da quello fondamentale;

D) qualora l'ingrediente o la categoria di ingredienti sia messo in rilievo con parole, immagini o con una rappresentazione grafica.

Tale esigenza si applicherà:

1) quando un ingrediente è messo in rilievo nell'etichettatura di un prodotto alimentare, in luogo diverso da quello ove figura la denominazione di vendita, con indicazioni del tipo:

al burro;

con panna;

alle fragole;

con prosciutto, ovvero con caratteri di dimensione, colore e/o stile diverso per richiamare su di esso l'attenzione dell'acquirente, anche se non figura nella denominazione di vendita.

Ne sono esempi: un prodotto dolciario da forno, con un'immagine o un'illustrazione ben visibile, che pone in evidenza la presenza di pezzettini di cioccolato;

2) quando una rappresentazione grafica è utilizzata per enfatizzare selettivamente uno o più ingredienti.
 
Esempi:

a) immagine o disegno di una mucca per mettere in rilievo ingredienti di origine lattiero-casearia: latte, burro;

b) pesci una zuppa di pesce o una insalata di mare con la messa in evidenza solo di alcuni (crostacei, aragosta, ecc.): va menzionata la quantità di tutti i pesci evidenziati.

Tale disposizione non va applicata:

a) quando l'immagine rappresenta il prodotto alimentare venduto, ovvero quando una rappresentazione grafica è destinata a suggerire come preparare il prodotto (illustrazione del prodotto presentato assieme ad altri prodotti che possono accompagnarlo), a condizione che l'illustrazione sia inequivocabile e non metta in evidenza in altro modo il prodotto venduto e/o alcuni dei suoi ingredienti;

b) quando l'immagine rappresenta tutti gli ingredienti del prodotto, senza metterne in rilievo uno.

Esempio: rappresentazione grafica di tutte le verdure usate in un minestrone o di tutti i pesci usati in una insalata di mare o delle specie di frutta in uno yogurt alla frutta;

c) quando si tratta di una preparazione alimentare e la rappresentazione grafica illustra le modalità di preparazione, conformemente alle istruzioni per l'uso;

d) quando l'immagine non è destinata a enfatizzare la presenza di un ingrediente e rappresenta solo una raffigurazione paesaggistica, quali un campo di frumento o delle spighe sulle confezioni di pasta alimentare o di prodotti da forno;

E) qualora l'ingrediente o la categoria di ingredienti sia essenziale per caratterizzare un prodotto alimentare e distinguerlo dai prodotti con i quali potrebbe essere confuso per la denominazione di vendita o per l'aspetto.

Tale disposizione mira a soddisfare le esigenze dei consumatori in quegli Stati membri dove la composizione di certi prodotti è regolamentata e/o dove i consumatori associano certi nomi ad una composizione specifica. Per questo motivo la gamma di prodotti che può rientrare in questa disposizione è molto limitata e riguarda esclusivamente quei prodotti che differiscono nella composizione tra un paese e l'altro, ma che sono venduti con lo stesso nome o con nomi similari.
Perché una bibita possa essere denominata "Aranciata" occorre che sia prodotta con una determinata quantità di succo di arancia, che varia da Paese a Paese. Onde evitare che il consumatore possa essere tratto in errore nella scelta del prodotto, in relazione all'ingrediente essenziale, l'indicazione della quantità di succo utilizzato è obbligatoria. Tale regola, comunque, in Italia, si applica già da anni e non rappresenta, quindi, una novità.
 
L'indicazione del QUID non è obbligatoria nei seguenti casi:
 
1) Ingrediente o categoria di ingrediente di cui è indicata la quantità di prodotto sgocciolato.
 
L'art. 9, comma 7, del decreto n. 109/1992 dispone che:

a) se un prodotto alimentare solido è immerso in un liquido di copertura, nell'etichettatura devono figurare la quantità del prodotto preconfezionato e quella del prodotto sgocciolato;

b) per "liquido di copertura" si intendono i seguenti prodotti, eventualmente mescolati fra loro anche se congelati, o surgelati:

acqua, acqua salata, aceto, succhi di frutta e ortaggi nei casi delle conserve di frutta ed ortaggi, soluzioni di acqua contenente sali, acidi alimentari, zuccheri o altre sostanze edulcoranti.

I prodotti la cui etichettatura comporta l'indicazione della quantità totale e della quantità di prodotto sgocciolato, sono esentati dall'obbligo di una dichiarazione quantitativa distinta, in quanto la quantità dell'ingrediente o della categoria di ingredienti può essere dedotta dai pesi indicati.
Esempio: Pesche allo sciroppo (x g - sgocciolato x g).
Quando l'etichettatura dei prodotti presentati in un liquido di copertura non contemplato nell'art. 9, comma 7, contiene, come indicazione volontaria, una dicitura relativa alla quantità di prodotto sgocciolato, l'indicazione del QUID non e richiesta.
Esempio: Tonno all'olio (x g - sgocciolato x g).
Ora mentre per i prodotti di cui all'art. 9, comma 7, è obbligatorio il doppio peso (totale e sgocciolato), negli altri casi (prodotti all'olio, alle acquaviti, ecc.) può essere indicato o il doppio peso o la percentuale dell'ingrediente di cui si tratta.
Nel caso di "ciliegie in alcool o acquavite", poiché l'elemento caratterizzante è dato dalle ciliegie e non dall'alcool o dall'acquavite, l'indicazione QUID deve riguardare le ciliegie.
Nel caso di preimballaggi contenenti acquavite di pera Williams e relativa pera, non è necessario indicare il doppio peso né il QUID, perché la pera è solo di decorazione, non essendo destinata al consumo.
I formaggi freschi a pasta filata, invece, confezionati in liquido di governo all'origine riportano solo l'indicazione della quantità di prodotto sgocciolato: per essi non si pone il problema del doppio peso. Si ritiene utile chiarire che non è prescritto alcun obbligo di indicazione della quantità all'origine, se l'operatore non può preparare i preimballaggi a gamme unitarie costanti. L'art. 23 del decreto legislativo n. 109/1992, infatti, precisa che le indicazioni obbligatorie devono figurare con le modalità previste dalle norme generali in materia di etichettatura dei prodotti alimentari e cioè secondo lo stesso decreto n. 109/1992, che all'art. 9, comma 9, e all'art. 3, comma 3, prevede la possibilità di applicare il talloncino del peso e del prezzo al momento della vendita, a meno che il prodotto non venga pesato alla presenza dell'acquirente.
La dicitura "da vendersi a peso", non richiesta da alcuna norma, è superflua, in quanto, come per qualsiasi altra indicazione obbligatoria, la quantità deve, in ogni caso, figurare sull'unità di vendita all'atto della esposizione per la vendita a libero servizio, a cura del venditore se non è stata apposta dal confezionatore (art. 3, comma 3, del decreto legislativo n. 109/1992).
 
2) Ingredienti o categorie di ingredienti la cui quantità deve già figurare nell'etichettatura a norma di disposizioni comunitarie.
Per il momento tale disposizione si applica ai succhi e nettari di frutta, alle confetture, gelatine, marmellate e crema di marroni;
successivamente ai prodotti di cacao e di cioccolato, quando sarà modificata la direttiva comunitaria.
 
3) Ingrediente o categoria di ingredienti in piccole dosi come aromatizzante.
Tale deroga è applicabile indipendentemente dalla presenza o meno sull'etichetta di una rappresentazione grafica. Resta inteso che l'etichettatura deve essere conforme alle disposizioni relative all'uso del termine "aroma" (art. 6 del decreto legislativo n. 109/1992).
La deroga non è limitata agli aromi; si applica ad ogni ingrediente (o categoria di ingredienti) utilizzato in piccole dosi per aromatizzare un prodotto alimentare (per esempio aglio, piante ed erbe aromatiche o spezie in qualsiasi prodotto utilizzati, bevande analcoliche di thè, vini e vini liquorosi nei prodotti di salumeria).
Il concetto di "piccole dosi" va valutato in relazione all'ingrediente utilizzato e al suo potere aromatizzante (per esempio: patatine al gusto di gamberetti, pomodori pelati con foglia di basilico, caramella al limone, maionese al limone, risotto allo zafferano o al tartufo).
Si ritiene utile precisare che il regolamento CEE del Consiglio n. 1576/89 stabilisce le denominazioni di vendita dei liquori di frutta e di piante, che possono essere ottenuti anche a partire solamente da aromi e non necessariamente da frutta o da piante. Per tali prodotti non è, pertanto, richiesta l'indicazione del QUID.
 
4) Ingredienti le cui quantità sono distintamente indicate.
Taluni prodotti costituiti da due o più ingredienti sono posti in vendita con l'indicazione in etichetta delle rispettive quantità, pur costituendo un'unica unità di vendita. In tal caso non è richiesta anche l'indicazione del QUID. Ne è esempio lo yogurt ai cereali, di cui sono indicate le quantità di yogurt (150 g) e di cereali (15 g).
 
5) Ingrediente o categoria di ingredienti che, pur figurando nella denominazione di vendita, non è tale da determinare la scelta del consumatore, per il fatto che la variazione di quantità non è essenziale per caratterizzare il prodotto alimentare, né è tale da distinguere il prodotto da altri prodotti simili.
Tale disposizione prevede l'esenzione dell'obbligo di indicare il QUID nei casi in cui la quantità di un ingrediente indicato nel nome di un prodotto alimentare non influenza la decisione del consumatore di acquistare o meno il prodotto ovvero un prodotto invece che un altro analogo. È il caso di prodotti fabbricata essenzialmente a partire dall'ingrediente o dalla categoria di ingredienti citati in denominazione.
L'esenzione si applica anche quando la stessa denominazione è ripetuta su più parti dell'imballaggio del prodotto. Non si applica invece se il nome dell'ingrediente è messo in rilievo e in particolare quando figura in un punto diverso dalla denominazione di vendita, fra le indicazioni che attirano l'attenzione dell'acquirente sulla presenza di tale ingrediente. Ne sono esempi:

Liquori di frutta;

Concentrato di pomodoro;

Pasta di semola di grano duro;

Passata di pomodoro;

Gelati di ....... o a .......;

Cereali per la prima colazione;

Pasta di acciughe.

Anche nel caso di formaggi fusi, che sono prodotti a partire da formaggi ed altri ingredienti lattieri e la cui etichettatura non pone in evidenza la presenza di un particolare tipo di formaggio, opera l'esenzione dall'obbligo del QUID.
 
6) Nei casi di cui all'art. 5, commi 8 e 9, del decreto n. 109/1992.
 
Il QUID non è richiesto, cioè, nel caso dei seguenti ingredienti, utilizzati allo stato di:

a) miscugli di frutta o ortaggi;

b) miscugli di spezie o di piante aromatiche, in cui nessun ingrediente abbia una predominanza di peso significativa.

Modalità di indicazione della quantità.
 
1. La quantità degli ingredienti è calcolata sulla base della ricetta momento della loro utilizzazione per la preparazione del prodotto. Non va, quindi, verificata sul prodotto finito ma analizzando la ricetta all'origine, così come avviene per gli ingredienti indicati in ordine ponderale decrescente.
L'indicazione della quantità degli ingredienti trasformati può essere accompagnata da diciture quali "equivalente crudo/fresco/all'origine", che aiuterebbero il consumatore a confrontare prodotti analoghi, nei quali gli ingredienti sono incorporati in stati fisici diversi.
Nel caso di "tonno all'olio d'oliva", ad esempio, essendo il tonno utilizzato previa cottura, la formulazione potrebbe essere la seguente: "Tonno cotto x%, equivalente a ... g di tonno crudo".
Anche nel caso delle carni in scatola, essendo la carne utilizzata previa cottura, la formulazione potrebbe essere la seguente: "carni bovine cotte x% equivalente a ... g di carne cruda".
Le quantità indicate nell'etichettatura designano la quantità media dell'ingrediente o della categoria di ingredienti da citare.
Per quantità media dell'ingrediente o della categoria di ingredienti si intende la quantità dell'ingrediente o della categoria di ingredienti ottenuta rispettando la ricetta e la buona pratica di fabbricazione, tenendo conto delle variazioni che si producono nel quadro della buona pratica di produzione.
L'indicazione del QUID deve accompagnare il nome dell'ingrediente nella denominazione del prodotto o nell'elenco degli ingredienti. Per i prodotti esentati dall'obbligo dell'indicazione degli ingredienti, la quantità deve figurare necessariamente nella denominazione di vendita.
Qualora tale indicazione debba accompagnare la denominazione di vendita, si evidenzia che non sono previste particolari modalità di indicazione oltre quanto espressamente detto. Se la denominazione di vendita è ripetuta più volte, detta indicazione può essere fornita una sola volta e non necessariamente sulla facciata principale, purché riportata in maniera visibile e chiaramente leggibile.
 
2. Per i prodotti alimentari che nel corso del procedimento tecnologico di preparazione perdono acqua a seguito di trattamento termico o altro, il QUID rappresenta la quantità dell'ingrediente o degli ingredienti al momento della messa in opera rispetto al prodotto finito. In un prodotto alimentare pluringredienti a base di carne o di pesce o di formaggio, il QUID relativo a detti ingredienti è determinato nel momento in cui vengono adoperati.
 
3. Quando però la quantità dell'ingrediente o degli ingredienti di cui va indicato il QUID supera il 100%, la loro percentuale va sostituita dall'indicazione del peso dell'ingrediente o degli ingredienti usati per la preparazione di 100 g di prodotto finito. In un prodotto a base di carne, ad esempio, la percentuale di carne utilizzata può risultare superiore al 100 % nel prodotto finito. In tal caso si dirà: "carne bovina 130 g per 100 g di prodotto finito".
Restano valide le disposizioni che prevedono diverse modalità di indicazione della presenza dell'ingrediente rispetto al prodotto finito. Esempio: gli zuccheri nelle confetture di cui al decreto del Presidente della Repubblica 18 maggio 1982, n. 489, laddove è prescritto che gli stessi vanno indicati con la formula "zuccheri totali ......% per 100 grammi di prodotto", proprio perché, come nel caso precedente, la quantità risulta superiore a quella effettivamente impiegata.
 
4. Nel caso di ingredienti volatili, quale lo champagne nei prodotti da forno, la quantità percentuale è indicata in funzione del peso nel prodotto finito.
Nel caso di ingredienti concentrati o disidratati, ricostituiti al momento della fabbricazione del prodotto finito, il QUID può essere indicato in funzione del peso dell'ingrediente prima della concentrazione o della disidratazione.
 
5. Nel caso di alimenti concentrati o disidratati cui va aggiunta acqua, la quantità degli ingredienti può essere espressa in funzione del loro peso rispetto al prodotto ricostituito.
 
Etichettatura nutrizionale.
 
L'indicazione della quantità di un ingrediente, che è anche nutriente ai sensi del decreto legislativo n. 77/1993, non fa venir meno l'obbligo dell'etichetta nutrizionale. Questa deve, comunque, essere realizzata in conformità a quanto prescritto da detto decreto.
La dicitura, ad esempio, "ricco di fibra" comporta l'obbligo dell'etichetta nutrizionale, in quanto la fibra è un nutriente contemplato dal decreto n. 77/1993 e può essere anche solo componente di un prodotto alimentare; in quanto ingrediente, la fibra è altresì oggetto di QUID. Pertanto, in etichetta possono figurare due valori, uno complessivo (componente + ingrediente) ai fini nutrizionali, e uno riferito solo all'ingrediente ai fini del QUID.
Problemi di carattere generale Con l'occasione si ritiene utile fornire talune informazioni per la corretta applicazione del decreto legislativo n. 109/1992 e delle altre regole di etichettatura contenute in altri provvedimenti.
 
Preimballaggio e preincarto.
 
La definizione di prodotto preincartato, peraltro non prevista dalla direttiva n. 79/112, è stata introdotta allo scopo di precisare gli adempimenti di etichettatura conseguenti all'attività di confezionamento negli esercizi di vendita, per la consegna diretta all'acquirente o per la vendita a libero servizio. I prodotti alimentari confezionati a tali condizioni, siano essi ermeticamente chiusi o sigillati, siano essi semplicemente avvolti dall'involucro, sono considerati "non preconfezionati" ai fini dell'etichettatura e, pertanto, ricadenti nel campo di applicazione dell'art. 16 del decreto legislativo n. 109/1992.
Sono state segnalate, poi, interpretazioni eccessivamente soggettive da parte degli addetti alla vigilanza circa gli articoli 20 e 24 del decreto legislativo n. 109/1992 per quanto riguarda le modalità di presentazione del burro e della margarina. Tali articoli hanno modificato le preesistenti norme, prevedendo che sia il burro che la margarina destinati al consumatore possano essere semplicemente preconfezionati senza alcun obbligo di chiusura ermetica o di apposizione di sigilli. Tali obblighi, previsti dalle preesistenti disposizioni, contrastavano con i principi di libera circolazione delle merci nella Unione europea e non potevano essere mantenuti solo per i prodotti nazionali.
Occorre prestare attenzione alla definizione di prodotto preconfezionato, che è molto ampia, nel senso che contempla anche i prodotti parzialmente avvolti da un involucro, purché tale da dover essere manomesso per poter accedere al prodotto. A tal fine può costituire valida alternativa alla sigillatura qualsiasi sistema di chiusura autodistruggente all'atto dell'apertura dell'involucro o del contenitore.
Quando il legislatore ha voluto apportare, sia in ambito nazionale che in ambito comunitario, una deroga a tale principio l'ha espressamente prescritta, per cui la chiusura ermetica va richiesta solo nei casi prescritti (es.: pasta alimentare, alimenti surgelati, oli).
Per quanto riguarda gli oli, in particolare, giova evidenziare che essi vanno venduti al consumatore conformemente a quanto prescritto dall'art. 7 della legge n. 35/1968, modificato dall'art. 26 del decreto legislativo n. 109/1992, cioè preconfezionati in recipienti ermeticamente chiusi in tutte le fasi commerciali. Tale obbligo sussiste anche nel caso di preimballaggi di contenuto superiore a 10 litri, anche se a partire da tale valore v'è libertà di gamma. Le vendite di olio con prelevamenti da pasture, fusti, ecc., su richiesta e alla presenza del cliente, sono da ritenersi vietate in quanto non offrono le necessarie garanzie richieste dalla legge suddetta.
 
Dicitura del lotto.
 
La direttiva CEE relativa al lotto è una direttiva a sé stante, che completa la direttiva n. 79/112 ma non è compresa in essa. In Italia detta direttiva è stata inserita, con gli articoli 3 e 13, nel decreto legislativo n. 109/1992.
Ciò comporta che, quando viene richiesta in specifiche direttive e nelle relative norme di attuazione nazionali l'indicazione del lotto oltre alle altre indicazioni previste dalla direttiva n. 79/112, il lotto va riportato con le modalità prescritte dal citato art. 13, ivi compresi i casi di esenzione.
Nel caso, ad esempio, degli alimenti surgelati destinati al consumatore, di cui al decreto legislativo n. 110/1992, è stata prevista l'indicazione del lotto, oltre alle indicazioni prescritte in via generale per i prodotti alimentari. La norma va applicata in coerenza con il decreto legislativo n. 109/1992, in modo che, quando il termine minimo di conservazione è espresso con giorno e mese, la dicitura del lotto non è richiesta. Lo stesso vale per i formaggi freschi a pasta filata, di cui all'art. 23 del decreto n. 109/1992.
Il fatto che in tale articolo siano elencate tutte le indicazioni di etichettatura non significa che lotto e data di scadenza debbano figurare sempre e comunque. La norma va applicata in conformità ai principi generali previsti dal detto decreto e cioè:

se il prodotto è destinato al consumatore è richiesta l'indicazione della data di scadenza e, di conseguenza, non è richiesta quella del lotto;

se il prodotto, invece, non è destinato al consumatore, è richiesta l'indicazione del lotto e non quella della data di scadenza, ai sensi dell'art. 17 del decreto n. 109/1992. Tuttavia, in questo caso, il preimballaggio è da ritenersi conforme se su di esso è riportata la data di scadenza in luogo del lotto.

Involgente protettivo.
 
L'art. 12 del decreto ministeriale 21 dicembre 1982 (regolamento di esecuzione della legge 5 agosto 1981, n. 441, concernente la vendita a peso netto delle merci) dà, ai fini della determinazione della tara, la definizione di involgente protettivo.
In tale articolo sono riportati taluni esempi di prodotti che non rientrano, per loro natura, nel concetto di tara, quali i budelli degli insaccati, lo spago e la corda che avvolge taluni formaggi come il provolone, o l'incarto dei formaggi molli "nonché ogni altro involgente similare". In tale categoria di involgenti rientrano il cryovac e l'alluminio destinati ad avvolgere prosciutti cotti o crudi disossati, mortadelle ed altri salumi interi nei quali tali prodotti vengono posti prima della pastorizzazione, nonché la paraffina, generalmente usata su taluni formaggi.
Si precisa, pertanto, che l'elencazione dei materiali e dei prodotti suddetti è solo esemplificativo.
Si ritiene utile evidenziare, poi, che la definizione di involgente protettivo è data solo ed esclusivamente per definire il concetto di tara, mentre il prodotto posto in un involucro è un preimballaggio o un preincarto, secondo i casi, ai sensi dell'art. 1 del decreto n. 109/1992.
 
Controllo della quantità nominale.
 
1. Sono stati posti numerosi quesiti circa la relazione tra l'applicazione del marchio CEE rappresentato dalla lettera "e" ed il sistema di gamme previsto per talune categorie di prodotti a livello comunitario.
Al riguardo si ritiene utile precisare anzitutto che non sussiste alcuna relazione tra marchio CEE e gamme disciplinate dal decreto del Presidente della Repubblica n. 871/1982 e dal decreto legislativo n. 106/1992 nonché gamme nazionali obbligatorie previste da norme specifiche relative a singoli prodotti quali oli e birra.
Infatti il marchio CEE altro non è che la dichiarazione di conformità delle modalità di confezionamento dei prodotti alle disposizioni previste dalla legge n. 690/1978 nonché dei controlli effettuati, per cui può essere riportato accanto all'indicazione della quantità di un prodotto rispondente ad un valore obbligatorio nazionale (es. 0,66 L per la birra) o di un prodotto rispondente ad un valore di libera scelta (es. 1000 g per il panettone).
Il sistema di gamme previsto a livello comunitario è opzionale (eccetto per i vini, l'alcool, le acqueviti, i liquori, gli amari e le altre bevande spiritose), nel senso che, oltre ai valori previsti, è possibile servirsi anche di altri. Pertanto, qualora manchi, come ad esempio per i gelati o i formaggi freschi, la gamma nazionale obbligatoria, l'indicazione del marchio CEE non comporta l'obbligo di indicare la quantità secondo la gamma opzionale comunitaria.
Le gamme obbligatorie di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 391/1980, diverse da quelle opzionali comunitarie, non possono essere accompagnate dal marchio CEE, anche se il controllo risulta effettuato ai sensi della legge n. 690/1978.
 
2. Circa il controllo della quantità nominale e l'applicazione delle prescritte tolleranze (scarti in meno), in relazione ad accertamenti di infrazioni da parte degli organi di vigilanza igienico-sanitaria, si precisa che:

a) il controllo sui prodotti confezionati a gamme unitarie costanti (decreto-legge 3 luglio 1976, n. 451, legge 25 ottobre 1978, n. 690, e decreto del Presidente della Repubblica 26 maggio 1980, n. 391) nonché quello sui prodotti confezionati a peso variabile (unità di vendita che sono per loro natura differenti l'una dall'altra) non attengono alla vigilanza igienico-sanitaria. Essi comportano in particolare verifiche all'origine che possono essere effettuate solo dagli ispettori metrici, in relazione alla specificità della materia. A tal fine si richiama l'attenzione sul disposto dell'art. 14 del decreto legislativo n. 123/1993 (controllo ufficiale dei prodotti alimentari) che esclude espressamente dal campo di applicazione il controllo metrologico sull'indicazione delle quantità;

b) la quantità indicata in etichetta è quella determinata all'origine ed è un valore medio per i prodotti confezionati a gamme unitarie costanti; il controllo, pertanto, va normalmente effettuato all'origine. Quando nelle fasi commerciali viene rilevato uno scarto in meno sul singolo preimballaggio, il prodotto è da ritenersi conforme se tale scarto è nei limiti previsti dall'art. 5 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 391/1980. Se lo scarto è superiore a quello tollerato, l'organo di vigilanza allerta l'Ufficio metrico competente per territorio perché provveda alle necessarie verifiche presso il confezionatore, per accertare che abbia superato il controllo statistico al riguardo. Il prodotto va sequestrato quando lo scarto rilevato è superiore al doppio di quello previsto (art. 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 391/1980);

c) gli scarti in meno (tolleranze) sui contenuti degli imballaggi preconfezionati, previsti all'art. 5, comma 1, lettera b), del decreto del Presidente della Repubblica n. 391/1980 e all'allegato 1 della legge n. 690/1978 si applicano non solo sul contenuto totale dei preimballaggi ma anche sulla quantità di prodotto sgocciolato per i prodotti alimentari immessi in un liquido di governo: dette tolleranze non tengono ovviamente conto delle disposizioni più specifiche di cui alle metodiche analitiche riconosciute. La tolleranza del 10% sulla quantità di prodotto sgocciolato, inoltre, prevista all'art. 2 del regio decreto-legge 30 novembre 1924, n. 2035, per le conserve alimentari di origine vegetale, è da considerarsi valida solo per tali prodotti, tenuto conto della loro specificità;

d) ai prodotti, che sono stati confezionati a gamme di peso variabili, si applicano le tolleranze tuttora valide previste all'allegato D del decreto del Presidente della Repubblica n. 327/1980, in quanto sono compatibili con le norme successivamente emanate. Tali tolleranze, infatti, possono applicarsi solo ai prodotti confezionati a gamme unitarie variabili;

e) l'art. 7 del citato decreto n. 391/1982 che prevede la sigla di identificazione del lotto è da ritenersi abrogato dall'art. 29, comma 2, del decreto n. 109/1992 nella parte in cui prevede la determinazione delle modalità di indicazione. Poiché non è possibile indicare tanti lotti quante sono le esigenze (merceologiche, sanitarie o metrologiche), ogni dicitura di lotto deve essere tale da soddisfarle tutte. Vale il principio, pertanto, previsto all'art. 13 del decreto n. 109/1992, che esclude qualsiasi tipo di comunicazione alle amministrazioni pubbliche delle modalità di identificazione: il lotto è apposto, infatti, sotto la diretta responsabilità del confezionatore;

f) in riferimento a quanto previsto all'art. 9, comma 9, del decreto n. 109/1992, la quantità riportata sugli imballaggi dei prodotti soggetti a notevoli cali di peso è quella apposta al momento della esposizione per la vendita. In un'eventuale verifica per la determinazione della quantità occorre tener conto anche dell'acqua residua della confezione. Detti prodotti, ivi compresi i formaggi freschi a pasta filata, possono anche non riportare, nell'etichettatura, l'indicazione della quantità, se sono venduti a richiesta dell'acquirente e pesati alla sua presenza;

g) per i prodotti cotti o precotti, che sono confezionati prima della cottura, per la determinazione della quantità occorre tener conto anche del liquido di cottura. Poiché la quantità menzionata nella etichettatura è determinata all'atto del confezionamento, il relativo controllo deve tenerne conto. Si ritiene che in tal caso l'acquirente vada adeguatamente informato che la quantità menzionata in etichetta contempli non solo la parte camea, ma anche il liquido gelatinoso. Tale informazione va riportata in un punto evidente dell'etichetta, perché possa essere percepita immediatamente dall'acquirente;

h) i prodotti della pesca congelati, destinati alla vendita ai sensi dell'art. 16 del decreto n. 109/1992, sono generalmente rivestiti di ghiaccio allo scopo di proteggere il prodotto da contaminazioni e dalla disidratazione (bruciature da freddo). Detto rivestimento di ghiaccio, usualmente chiamato "glassatura", pur non essendo un liquido di governo, è pur sempre tara. Va, pertanto, detratto dal peso, al momento della vendita al dettaglio del prodotto della pesca.(vedere la Circolare 6 gennaio 1990)

Ingredienti.
 
1. Gli ingredienti vanno determinati al momento della loro utilizzazione e vanno menzionati col loro nome specifico, anche se nel prodotto finito residuano in forma modificata. Viene spesso segnalato che in talune analisi effettuate da laboratori pubblici sono rilevati ingredienti non consentiti. Ciò è dovuto essenzialmente al fatto che taluni laboratori continuano ad applicare il principio dell'elenco degli ingredienti verificato nel prodotto finito, mentre la normativa vigente fa riferimento al momento della loro utilizzazione. È evidente che nel prodotto finito possono essere rilevate delle modifiche anche sostanziali di cui va tenuto conto; anche l'ordine ponderale decrescente può subire col processo di produzione una sostanziale modifica.
Il corretto esame dell'elenco degli ingredienti e del suo ordine ponderale decrescente può essere effettuato solo verificando all'origine la loro utilizzazione.
 
2. Nel prodotto finito, inoltre, possono essere rilevate sostanze non utilizzate: la loro presenza è dovuta al fatto che sono componenti naturali di altri ingredienti utilizzati, per cui, non essendo considerate ingredienti, non vengono indicate. La presenza del colorante E 100 negli gnocchi, ad esempio, può non essere dovuta all'impiego di curcumina ma alla curcuma, di cui la curcumina è componente naturale.
 
3. La rilevazione, poi, di un tasso di umidità superiore al 5% in un prodotto finito, nel cui elenco degli ingredienti non figura l'indicazione dell'acqua, può significare che siano stati utilizzati solo ingredienti all'alto contenuto di umidità (latte, uova, ecc.) e per niente acqua. Per tale motivo l'acqua, non essendo ingrediente, può non figurare nell'elenco degli ingredienti del prodotto finito.
 
4. Il termine "zucchero", nella lista ingredienti, senza qualificazione, identifica il saccarosio e le soluzioni acquose di saccarosio, di cui alla legge n. 139/1980, mentre nel caso di messaggi che pongono in rilievo l'assenza o il ridotto contenute di zucchero, fermo restando l'obbligo di realizzare l'etichetta nutrizionale, per zucchero (i) si intende il complesso degli zuccheri (saccarosio, lattosio, fruttosio, maltosio, destrosio, sciroppo di glucosio, ecc.).  
 
Lingua.
 
Le indicazioni obbligatorie di cui all'art. 3, comma 1, del decreto legislativo n. 109/1992 devono essere realizzate in lingua italiana, ai sensi del successivo comma 2. È stato chiesto se tale regola debba applicarsi anche ai prodotti destinati all'industria, agli artigiani, agli utilizzatori industriali. Al riguardo si precisa che la direttiva CE n. 79/112 e, quindi, anche il decreto legislativo 109/1992 si applicano ai prodotti alimentari destinati al consumatore. Il fatto che nel decreto legislativo siano prescritti alcuni oneri di etichettatura a carico dei prodotti destinati all'industria (art.17) non significa che tutto il provvedimento si applica anche all'industria: il campo di applicazione rimane pur sempre delimitato dai prodotti alimentari destinati come tali al consumatore.
Le esigenze prescritte all'art. 17 non hanno mai presentato problemi in quanto risultano rispondenti alle esigenze dei mercati internazionali. Gli addetti alla vigilanza, pertanto, non possono sostituirsi alle aziende e pretendere che le informazioni in parola vadano fornite in lingua italiana, se le aziende sono in condizione di riceverle in qualsiasi lingua. Se un'azienda acquista un prodotto in un altro paese con la documentazione redatta nella lingua originaria o in lingua inglese, vuol dire che nel proprio ambito la lingua in parola è conosciuta e, quindi, le informazioni sono assicurate.
 
Abrogazioni.
 
Un problema sollevato da più parti riguarda l'uso di insegne o tabelle da esporre, a vario titolo, all'esterno dei negozi o nei negozi stessi per informare il consumatore della vendita di "carni fresche", di "carni congelate" o di "carni scongelate" con l'indicazione della specie animale, o di altri alimenti, al solo scopo di richiamare l'attenzione dei consumatori sulla diversa natura dei prodotti in vendita in detti negozi. Al riguardo si precisa che l'art. 16 del decreto n. 109/1992 ha espressamente precisato le indicazioni obbligatorie che devono figurare su tutti i prodotti destinati alla vendita frazionata ed i casi in cui può essere elaborato un cartello. Per i prodotti preconfezionati, poi, le indicazioni obbligatorie figurano sulle singole unità di vendita. Fermo restando, quindi, l'obbligo di riportare sui prodotti esposti per la vendita la denominazione di vendita accompagnata dall'eventuale trattamento al quale sono stati sottoposti o allo stato fisico in cui si trovano, l'esposizione sui muri o sulle pareti di dette tabelle o insegne è da ritenersi de facto abrogata dall'art. 29 del decreto n. 109/1992.
 
Grappa.
 
L'art. 18 del decreto del Presidente della Repubblica 297/1997 vieta l'uso dei termini DOC, DOT, DOP e simili nei casi previsti al comma 2, lettere a) e b). Il divieto in parola non è stato espressamente previsto anche per la lettera c), in quanto già insito nel principio enunciato in tale lettera. Infatti la norma consente il riferimento al vino DOC ma non l'uso di tale parola.
In altri termini è consentita la denominazione di "Grappa dei Colli Orientali del Friuli" ma non quella di "Grappa dei Colli Orientali del Friuli DOC", di "Grappa di Barbera" ma non "Grappa di Chianti DCCG".
 
      Il Ministro: Letta